I “Prolegomeni” di Partenope

I “Prolegomeni” di Partenope

La Partenope era un giornale settimanale napoletano che vide la luce pochi anni dopo l’unità d’Italia. Era diretto da Domenico Jaccarino, definito in gerenza come direttore e proprietario. Il testo che riportiamo di seguito è il fondo di presentazione del periodico, scritto da Jaccarino sul primo numero, messo in vendita il 31 marzo 1867. Il fondo non ha un titolo vero e proprio, ma solo il termine prolegomeni. Perprolegomeni (dal greco proléghein, “dire prima”) si intende una trattazione introduttiva e semplificata allo studio di una materia, di un personaggio, di un testo o di un giornale, come in questo caso.

Un giornale che in questi tempi di accapigliamenti di partiti e di lotte politiche più o meno interessate, più o meno indecenti, più o meno pettegole, alza lo stendardo dell’amena letteratura: – un giornale che si propone di fare ogni suo sforzo per ispegnere sulle vermiglie labbra  delle reggitrici quel terribile battistrada della noja, ch’è lo sbadiglio, giusto a questi chiari di luna, ossia quando i prossimi futuri onorevoli si accingono a far ritornare in questa avventuratissima Italia l’età dell’oro, con l’annessa e connessa appendice di scialacquii, di divertimenti e di spassi: – un giornale che s’impipa dei gabinetti e di parlamenti, di destre e di sinistre di tassa unica e tasse multiple, de’ Ricasoli, dei Rattazzi, dei Crispi, dei Lazzaro, dei Sempronio, dei Medio e dei Taddeo: – un giornale di questa fatta e di questi giorni, deve sembrare per lo meno un assurdo, un anacronismo, una gaglioffaggine. O Napoli mia, o diletta Partenope! O famosa infelice! E fino a quando sarai costretta a vivere cotesta esecrabile vita di noja.

I ciurmadori della stampa quotidiana, i corrispondenti, i cronachisti e gli articolisti di fondo e di sfondo, vogliono impaverarti con le loro vacue e taccagne discettazioni; essi, stretti in osceno connubio con gli esattori, i padroni di casa e simile genia di strozzini, vogliono sorbirti l’anima; per essi la figlia primogenita di Machiavello e di Tayllerand, Monna politica, è ridotta un perenne panegirico un libello perenne impotenti intraddue ad arrestar di un capello sulla china precipitosa il carro governativo. A che giova dunque di mettere a prova la nostra pazienza e quella dei lettori, bisticciandoci anco noi in questo agone in cui combattono non i prin cipi ma i partiti, non i partiti ma gli uomini, non gli uomini ma le ombre, le larve, le nullita! Corbeille – il papà della commedia francese – in occasione della morte di Richelieu, scrisse:

Qu’on parle bien ou mal du fameux Cardinal
Ma prose ni mes vers n’en diront jamais rien;
Il m’a fait trop de bien pur en dire du mal.
Il m’a fait trop de mal pur en dire du bien.

Dunque, a monte la politica, propriamente detta, e… viva l’amena letteratura! Partenope mia, vien qua, siedi sulle mie ginocchia. Tu hai pur fatto il brutto sonno e ti senti tutte le ossa indolenzite; è ormai tempo di equilibrarti un pochino e aprire le valvole dello stomaco a un’aria meno mefitica e meno malsana di quest’aria malsana e mefitica de’ gabinetti. A tal fine noi di ogni otto giorni ti presenteremo quest’assortimento di generi diversi, anzi questo calderone di salsa piccante.

Noi – modestia a parte – promettiamo e giuriamo sul Cantico dei Cantici, di divertirti e di distrarti, o bella Partenope; noi alterneremo, con variata vicenda, l’utile al dilettevole, il serio al faceto, la prosa al verso, l’italiano al dialetto, la storia al romanzo; noi – ove occorra – ti parleremo di politica sì, ma della politica del cugino della moglie verso i mariti, della politica delle zitellone, della politica manipolata nelle sale da ballo, della politica dei capelli, dei boa, dei chignon, degli stivali, del mio naso; noi rivedremo le bucce alle signore donne, e permetteremo che le signore donne, sulle nostre stesse e medesime colonne, rivedano le bucce agli uomini; noi saremo gli angioli custodi delle imprese teatrali; noi – presentandole in tutta la loro scontraffatta nudità – procureremo di correggere certe viziose e spagnolesche usanze della società napolitana; noi, infine – secondo le circostanze – saremo serii quanto un quidam alla vigilia di scader la sua cambiale, ed – anco secondo le circostanze – saremo ridicoli quanto la faccia di un deputato che ha fatto fiasco, o giù di lì. – viva noi.

 

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