Sul paradosso che le Scienze han nociuto ai costumi

Sul paradosso che le Scienze han nociuto ai costumi

-Lode al cielo! Ho bruciato tutti i miei libri, mi disse ieri un amico filosofo. –Tutti senza eccezione? Pel giornale politico, pe’ romanzi francesi alla moda, per certi drammi nuovi, ve lo perdono; ma che vi han fatto Cicerone e Virgilio, Racine, Metastasio, Tasso, La Fontaine, Ariosto, Addison, Molière e Pope?
-Tutto ho bruciato, replicò, costoro son corruttori del genere umano. I maestri di geometria e di aritmetica sono ancora de’ mostri. Le scienze tutte sono il flagello più orribile della società; senza di esse avremmo ancora l’età dell’oro. Ho rinunciato per sempre ai letterati, ed a tutti i paesi dove son conosciute le arti, le scienze e le lettere.
È cosa orribile il vivere nella città, ove si porta in saccoccia la misura del tempo in oro, dove si fan venire dalla Cina piccoli vermi per vestirsi della lor bava, dove si sentono mille istrumenti che accordati seducono le orecchie, e assonnano l’anima in una dolce estasi che la rapisce e l’incanta. Tutto ciò è orribile, ed è evidente che i soli popoli barbari sono uomini dabbene, purché siano lontani da quelle regioni, ove io sospetto che le detestabili scienze dell’Europa si siano introdotte.
Quando l’amico ebbe svaporata bene la bile, lo pregai di dirmi senza rancore chi mai gli avesse inspirata tanta avversione per le Lettere. Egli mi confessò ingenuamente che la sua contrarietà era in origine venuta da una specie di gente che si occupa di taluni giornali politici (salvo quelli che sono di immensa utilità al paese) i quali si mettono allo stipendio di questo o di quell’altro colore, di questa o di quell’altra setta; e che da questo bello stato, a cui li riduce l’incapacità di prendere un’onesta professione, insultano ogni giorno i più stimabili ed egregi uomini, per guadagnare il loro soldo, o per l’avidità d’accrescere la vendita del proprio periodico.
-Avete ragione,io gli risposi. Ma vorreste voi ammazzar tutti i cavalli di una città, perché ve ne sonò che dan dei calci, e servon male?
Vidi che quest’uomo avea principiato ad odiare l’abuso delle arti, ed era giunto finalmente ad odiar le arti stesse.
Voi confesserete, egli dicevami, che l’industria da all’uomo nuovi bisogni, i quali accendono le passioni, e le passioni fanno commettere qualunque delitto.
L’abate Suger governava molto bene lo Stato nel tempo d’ignoranza. Ma il Cardinale di Richelieu, ch’era teologo e poeta, fece tagliare più teste che non fece cattivi drammi. Appena che ebbe egli stabilita l’accademia francese, che i Cinq-Mars, i Tuani, i Marillac morirono per mano del boja. Se Enrico VIII non avesse studiato, non avrebbe fatto morire su d’un palco due delle sue mogli. Carlo IX non ordinò le stragi della San Bartlemy se non perché il suo precettore Amion gli aveva insegnato a far versi. Ed i Cattolici non trucidarono in Irlanda tre o quattro mila famiglie di protestanti, se non perché voleano far da Teologi?
-Credete dunque, io gli dissi, che Attila, Genserico, Odoacre i loro simili avessero lungo tempo studiato nell’Università?
-Non ne dubito, egli mi rispose, ed io son persuaso che’essi hanno scritto molto in versi ed in prosa; altrimenti avrebbero essi distrutta una parte del genere umano? Leggevano essi assiduamente i calisti e la morale ipocrita e rilasciata de’ Gesuiti, per calmare i loro scrupoli, che la sola natura selvaggia ispira. Non altrimenti si può divenir malvagio che a forza di spirito e cultura. Vivano gli sciocchi per essere uomini onesti.
Fortificò egli quest’idea con molte ragioni, atte a riportare il premio in un’accademia. Io lo lasciai dire. Noi partimmo per andare a cena in campagna; egli malediceva per via la barbarie dell’arti, ed io leggeva Orazio.
Fummo, passando per un sito, assaliti da’ ladri, e spogliati senza pietà. Interrogai in quale università avevano studiato, questi signori mi confessarono tutti, che niun di loro avea mai imparato a leggere.
Dopo essere stati così dagl’ignoranti, giungemmo quasi nudi dove avevamo da cenare, cioè nella casa d’uno de’ più dotti uomini d’Italia.
Il mio amico, secondo i suoi principii, doveva aspettarsi di essere scannato, ma non fu così. Fummo vestiti, ci fu dato in prestito del denaro, fummo lautamente trattati; ed il mio compagno, terminato il pranzo, chiese una penna ed un calamaio per scrivere in favore di coloro che coltivano le scienze.

Share