Parla Giuseppe Riccio: La Cultura paga

Parla Giuseppe Riccio: La Cultura paga

“È vero che la cultura non paga, ma solo dal punto di vista economico, perché per il resto è uno strumento indispensabile per arricchire la persona umana, per far comprendere quanto sia necessario mettere l’uomo al centro dell’organizzazione sociale e non il denaro”. A parlare è Giuseppe Riccio, Geppino per quanti hanno avuto modo di conoscerlo. È il responsabile del settore Teatro e Cultura dell’associazione culturale senza fini di lucro A.Fe.P.A.T. (Associazione Ferrovieri Pensionati e Amici del Treno), nata con l’obiettivo di promuovere e diffondere il Volontariato in ogni sua accezione, migliorando i rapporti umani e di solidarietà, collaborando, prestando la propria assistenza e inserendo il pensionato come soggetto attivo nel sociale, rendendolo partecipe e non emarginato. Il tutto attraverso lo strumento della cultura e della conoscenza.

Al tavolino del bar, dove lo abbiamo “trascinato” per farci raccontare come nasce Napoli mille culture, un secolo di canzoni da Salvatore di Giacomo a…”, lo spettacolo in programma stasera, alle ore 20,30 nel cortile del Maschio Angioino, Geppino guarda nervosamente l’orologio: ci sono ancora tante cose da organizzare e da preparare perché tutto sia pronto per il pubblico. Nonostante ciò, risponde volentieri alle domande, perché sa quanto sia difficile far passare un messaggio di volontariato in tempi di mercato globale, di spread e di economia che detta legge su tutto.

Come nasce l’idea di questo spettacolo?

Sono convinto, come tutti i 700 soci dell’ A.Fe.P.A.T., che Napoli sia depositaria di una cultura e di valori profondi, che il livellamento verso il basso e l’omologazione, frutti della globalizzazione, rischiano di cancellare per sempre. Sarebbe una perdita enorme per tutti noi e per le generazioni future, alle quali abbiamo l’obbligo di pensare.

Sì, ma perché uno spettacolo nell’ambito dell’iniziativa del Comune di Napoli “Estate bambina, ‘A voce d’ ’e creature”?

Me lo sono chiesto. La domanda è stata: come faccio a raggiungere bambini e ragazzi per spiegargli quanto sia bella, concreta e positiva la loro Città, nonostante il lavoro in senso contrario di qualche pseudoscrittore? La risposta è stata semplice: uno spettacolo delle varie culture partenopee, un Cd con la registrazione dello stesso e poi, una distribuzione nelle scuole, seguita da una serie di seminari.

Tutto questo lavorando gratis e rimettendoci anche dei soldi. Perché?

Non solo tutti lavorano gratis e l’Associazione ci rimetterà dei soldi, ma faremo anche beneficenza. L’incasso della vendita dei biglietti sarà tutto devoluto al Binario della solidarietà, opera segno della Caritas di Napoli, che sostiene e assiste le persone senza dimora. Perché? Perché fare volontariato vuol dire passare dalle parole ai fatti, senza aspettarsi nulla in cambio, senza clamori, ma solo rispettando l’idea in cui crediamo. Se la cultura va salvaguardata, allora noi lo facciamo sul campo.

Le sembra giusto lavorare gratis?

Non sarà giusto, ma questa è la realtà nella quale ci muoviamo e dobbiamo tenerne conto. Del resto, lo sta facendo anche il nostro assessore comunale alla Cultura, Gaetano Daniele, che con un budget quasi ridicolo, per quanto è basso, ha trovato il modo di coinvolgere associazioni, istituzioni e singoli cittadini, mettendo insieme un’offerta culturale che può competere con quelle di città ben più ricche e grandi della nostra.

Lei vuole aiutare a far sopravvivere la cultura napoletana, ma il messaggio che oggi passa dai mass media e dalla stessa televisione di Stato è che questa cultura non esiste. Addirittura la lingua napoletana viene definita dialetto ed è accomunata a un modo volgare di esprimersi…

C’è chi la pensa così, ma io e quelli come me, che conoscono questa Città e la sua grande storia, la pensano diversamente e difendono questo pensiero, la cultura e le tradizioni. Chi ci vuol fare apparire come un popolo di camorristi e di sfaticati, falsa la storia e la realtà. Non negando, ovviamente, l’esistenza della camorra che è un fenomeno che va sempre combattuto, utilizzando anche l’arma della cultura.

Quindi, possiamo dire che con questo suo spettacolo sta facendo controinformazione?

Penso di sì. Lo dico anche sull’esperienza di quarantacinque anni di attività giornalistica svolta in questo territorio. Quotidianamente.

Si proietti di trent’anni nel futuro. Quanti giovani comprenderebbero lo spettacolo di stasera?

Pochi. Forse nessuno, se non ci diamo tutti da fare per salvaguardare le nostre tradizioni e la nostra cultura. Noi siamo determinati ad andare avanti. Addirittura stiamo pensando a fare spettacoli nei condomini.

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