Una visita alla Galleria Borbonica

Una visita alla Galleria Borbonica

Nell’ambito della Settimana del Pianeta Terra, giovedì 9 ottobre 2014 si è svolta la Visita alla Galleria Borbonica, nelle viscere di Napoli dove sono stati ritrovati reperti di grande valore storico, come elmetti della Seconda Guerra Mondiale, vasi in terracotta del 1700 o ancora mattonelle di Vietri del 1800, oppure giocattoli di bambini portati in quei luoghi utilizzati come rifugi durante i bombardamenti. È stato possibile ammirare anche bombe vulcaniche eruttate dai Campi Flegrei ben 14.800 anni fa e le sacche di materiali piroclastici sciolti all’interno del tufo giallo napoletano.

La Settimana del Pianeta Terra è un’iniziativa organizzata dalla Federazione Italiana Scienze della Terra, che si svolge ogni due anni, ad ottobre, in tutta Italia: difatti è L’Italia alla scoperta delle Geoscienze.

Lo scopo dell’iniziativa è promuovere investimenti, non solo economici, su ambiente, energia, clima, alimentazione, salute, risorse e puntare a ridurre i rischi naturali per migliorare qualità della vita delle persone e la sicurezza del nostro territorio.

Il professore Silvio Seno con i giornalisti prima della visita al Tunnel Borbonico

Il professore Silvio Seno con i giornalisti prima della visita al Tunnel Borbonico

La Settimana del Pianeta Terra si articola in varie manifestazioni, dette GeoEventi, sull’intero territorio nazionale: escursioni sul terreno, passeggiate nei centri urbani e storici, porte aperte ai Musei, visite guidate, esposizioni, attività didattiche, attività sperimentali di laboratorio per bambini e ragazzi, attività musicali e artistiche, degustazioni conviviali, conferenze, convegni, workshop, tavole rotonde. La Visita alla Galleria Borbonica è stata uno dei diversi GeoEventi organizzati in Campania.

Dopo circa 150 anni dal progetto iniziale di Ferdinando II di Borbone e del suo Architetto Errico Alvino, l’Associazione Culturale “Borbonico Sotterranea” è riuscita a ridonare alla Città il Tunnel Borbonico.

Il progetto “Borbonico Sotterranea” ha realizzato una nuova struttura turistica in grado di valorizzare una porzione di rilevanza storica del sottosuolo di Napoli, in cui è possibile ammirare le opere dei Borbone nel sottosuolo e le interconnessioni tra queste e la rete acquedottistica antica della “Bolla” e seicentesca del “Carmignano”. L’intervento ha previsto la sistemazione del “Tunnel Borbonico” attraverso la rimozione dei detriti presenti in numerosi ambienti, il restauro delle mura borboniche danneggiate e l’illuminazione degli ambienti, quest’ultima finalizzata alla loro valorizzazione.

Il progetto è stato realizzato dai geologi Gianluca Minin ed Enzo De Luzio, forti dell’esperienza di diversi anni con la Ingeo s.r.l. in attività di verifiche statiche e lavori di messa in sicurezza delle cavità presenti nel sottosuolo di Napoli, per conto del Commissariato di Goveno per l’Emergenza Sottosuolo.

Nel marzo 2005 entrarono nel Tunnel Borbonico per realizzare alcuni rilievi; il Tunnel si presentava all’epoca in uno stato di totale degrado ed abbandono, invaso da detriti e materiali legati ai lavori di scavo della linea Metropolitana L.T.R di Napoli (Linea Tranviaria Rapida).

I rilievi consentirono di ammirare la bellezza di un’opera civile da anni dimenticata e portarono, al contempo, alla scoperta di diverse cavità non censite ubicate in aree limitrofe al Tunnel migliorando la conoscenza del sottosuolo di Monte Echia.

Gianluca Minin fa da cicerone nel Tunnel Borbonico.

Gianluca Minin fa da cicerone nel Tunnel Borbonico.

A partire da quel periodo, per cinque anni, i componenti dell’Associazione Culturale, con l’aiuto di numerosi volontari, hanno recuperato il Tunnel ripulendolo e illuminandolo fino a consentire una facile e gradevole passeggiata. I lavori sono stati finanziati esclusivamente dagli stessi componenti dell’Associazione culturale.

Quando a partire dal 1939 il Tunnel e le cavità limitrofe furono usati come ricovero bellico furono realizzati vari accessi con scale che consentivano la discesa da punti diversi della zona di Monte Echia; uno di questi accessi sfruttò la presenza di una scala già esistente, realizzata nel 1700 per consentire ai pozzari la manutenzione dell’acquedotto. La scala, ubicata a vico del Grottone n° 4, fu poi completamente riempita di detriti dopo gli ultimi bombardamenti della II Guerra Mondiale e se ne perse traccia.

Il presidente dell’Associazione, il geologo Gianluca Minin insieme con i suoi collaboratori, intuì che la scala che si intravedeva tra i detriti a ben trenta metri di profondità potesse essere liberata dai detriti e restituita alla luce. Occorsero sei mesi di lavoro per ripulire la scala che dopo otto rampe giunse al di sotto del pavimento di un ambulatorio di un medico veterinario.

Oggi questo accesso costituisce uno dei due ingressi principali al Tunnel Borbonico; il secondo accesso è all’intemo del pa rcheggio Morelli di via Domenico Morelli. Attraverso questo secondo accesso è possibile effettuare visite riservate alle persone disabili, poiché gran parte del percorso è privo di barriere architettoniche. All’interno del Tunnel Borbonico è possibile ammirare le auto e le moto d’epoca, trasportate al suo interno dal Comune di Napoli dopo la Guerra quando gli ambienti  furono utilizzati come deposito giudiziario.

La storia della Galleria

Ambiente del Tunnel Borbonico

Ambiente del Tunnel Borbonico

Il 19 febbraio del 1853 Ferdinando II di Borbone firmava un decreto con il quale incaricava l’architetto Errico Alvino – già commissario straordinario per Via Chiaja e San Ferdinando – di progettare un viadotto sotterraneo che, passando sotto Monte Echia, congiungesse il Palazzo Reale con piazza Vittoria, prossima al mare e alle caserme. Tale decreto non aveva affatto un carattere sociale; contemplava, infatti, la realizzazione di un percorso militare rapido, in difesa della Reggia, per le truppe acquartierate nella caserma di via Pace (attuale via Domenico Morelli), nonché una sicura via di fuga per gli stessi monarchi, visti i rischi che            avevano corso durante i moti del 1848.

L’architetto progettò uno scavo con sezione trapezoidale, muri d’imposta a scarpa, larghezza e altezza di dodici metri, suddivisa in due gallerie per gli opposti sensi di marcia. Tali gallerie dovevano essere ampie, ciascuna quattro metri e separate da un sottile parapetto sostenente i lampioni per l’illuminazione a gas e dotate, infine, di marciapiedi laterali larghi 2 metri. La galleria diretta a Chiaia doveva avere il nome di “Galleria Reale” o “Strada Regia”, mentre la galleria in senso contrario doveva chiamarsi “Strada Regina”; entrambe sarebbero partite presso la vecchia caserma di cavalleria nella ex via Pace, ma una avrebbe raggiunto il Largo Carolina dietro il colonnato di Piazza Plebiscito e l’altra Via Santa Lucia.

I lavori per l’apertura della traccia vennero avviati nell’aprile del 1853; si attaccò la montagna nell’odierna via Domenico Morelli (ex via Pace) dallo slargo che coincideva con un precedente piazzale di cava dove si trova l’attuale accesso alla galleria. Da esso partivano due gallerie, una carrabile e l’altra pedonale, che procedevano parallele per 84 metri, per finire all’interno delle Cave Carafa che erano già state utilizzate a partire dal Cinquecento per la costruzione di vari edifici nella zona. Nel 1788 erano state ulteriormente sfruttate estraendo altro tufo per la costruzione della Chiesa della Nunziatella. Prima di giungere nelle Cave Carafa, attualmente sede di un parcheggio multipiano, lo scavo della Galleria Borbonica incontrò un cunicolo ancora attivo pertinente ai rami seicenteschi dell’acquedotto della Bolla. Per evitare di togliere l’acqua ad alcuni edifici in Via Cappella Vecchia, furono realizzati degli ingegnosi lavori idraulici per consentire il passaggio dell’acqua a quote inferiori rispetto a quella della galleria. Dopo di che si partì con il secondo tratto del traforo il cui scavo presentò numerosi problemi tecnici.

Gli interventi furono completati nel maggio del 1855 dopo circa 3 anni di lavori realizzati totalmente a mano con picconi, martelli e cunei, e con l’ausilio di illuminazione fornita da torce e candele. Il giorno 25

dello stesso mese, la Galleria Borbonica venne addobbata e illuminata sfarzosamente per la visita di Ferdinando II di Borbone rimanendo aperta al transito pubblico per soli tre giorni. Negli anni successivi, il progetto fu sospeso per motivi economici e per il variato assetto politico che portò all’unità d’Italia.

Resti di brande e giocattoli abbandonati da chi utilizzava il rifugio in tempo di guerra

Resti di brande e giocattoli abbandonati da chi utilizzava il rifugio in tempo di guerra

Durante il periodo bellico, tra il 1939 e il 1945, la galleria e alcune ex cisterne limitrofe furono utilizzate come ricovero dei cittadini; vi trovarono rifugio tra i 5mila e i 10mila napoletani, molti dei quali persero le case durante i numerosi bombardamenti subiti dalla città sia da parte degli alleati, prima, e in seguito dei tedeschi. Per consentire un accesso sicuro alle persone, vennero realizzate diverse aperture; in particolare, fu fatta una scala a chiocciola, proprio nel punto in cui erano terminati i lavori dell’architetto Alvino, che consentiva l’accesso alla galleria da Piazza Carolina. Dal vicino palazzo della Prefettura fu creato, inoltre, un collegamento orizzontale che si innestava proprio sulla scala a chiocciola per consentire anche ai dipendenti del Palazzo di raggiungere il ricovero.

Inoltre, la galleria e gli ambienti limitrofi furono dotati di impianto elettrico e di servizi igienici dai tecnici dell’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) utilizzando risorse economiche del ministero dell’Interno e del Comune di Napoli; al contempo, su gran parte delle pareti e delle volte degli ambienti, fu stesa della calce bianca con il duplice intento di evitare la disgregazione del tufo e di migliorare la luminosità degli spazi.

Dopo la guerra e fino al 1970 la Galleria Borbonica fu utilizzata come deposito giudiziario comunale, dove veniva immagazzinato tutto ciò che era stato estratto dalle macerie causate dai duecento bombardamenti subiti da Napoli; qui si ammassò anche tutto ciò che fino agli Anni ’70 veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri.

Oltre ai numerosi autoveicoli e motoveicoli, al di sotto di cumuli di detriti alti otto metri, sono state rinvenute diverse statue di epoche diverse.

estratto da: La Galleria Borbonica di Napoli

Un viadotto militare sotterraneo di metà Ottocento

di Gianluca Minin ed Enzo De Luzio

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