Anche Tasso parla napoletano

Anche Tasso parla napoletano

Era il 15 aprile 1689, quando dalla Stamperia di Iacovo Raillardo di Napoli venne alla luce Lo Tasso Napoletano, ovvero La Gierosalemme Libberata de lo sio Torquato Tasso votata a llengua nosta da Grabiele Fasano, definito eruditissimo dal vicario generale Sebastiano Perissio. Il ’600 e il ’700 furono i secoli delle traduzioni in dialetto delle grandi opere, che, in questo modo, conferivano una sorta di “consacrazione storica” agli idiomi locali, facendoli assurgere a “lingua” ufficiale di un territorio. Il capolavoro del Tasso era in gran voga in quel secolo, tant’è che, già nel 1628, erano stati tradotti in bolognese antico i primi tredici canti e, nel 1670, a Venezia veniva stampata un’edizione in dialetto bergamasco. La particolarità della “traduzione” del Fasano era nell’aver tolto l’opera del Tasso, che era di Sorrento, dall’Olimpo dell’aristocrazia intellettuale dell’epoca, consegnandola al mondo della nuova borghesia, quindi aprendola a un’ampia circolazione. Non meraviglia, perciò, la tiepida accoglienza da parte degli “intellettuali di mestiere” e il caloroso successo tra il pubblico medio-borghese e dell’aristocrazia cittadina. Gabriele Fasano era nato a Vietri sul Mare, nel casale di Jaconti di Dragonea, l’11 novembre 1638, da Filippo Angela Garofalo, napoletana. Vietri era un casale di Cava, ma le origini della madre fece sembrare a molti una forzatura voler attribuire natali cavesi al “traduttore” del Tasso.

Ritratto di Torquato Tasso

Ritratto di Torquato Tasso

Ma, nel secondo libro dei battezzati della Chiesa di San Pietro a Dragonea, si conserva l’atto di battesimo di Gabriele Fasano. Nel suo volume su Dragonea del 1992, lo storico don Attilio Della Portariporta: “Gioanne Martino Gabriele, figlio di Filippo et Angela Garofano coniugi, battizzato per Donno Stefano Punzo, tenuto per Giov. Sabato Giarrella et Lucrezia Avallone sotto lì 11 de novembre 1638”. I Fasano sono ricordati come abili maestri cavesi nell’arte muraria, ma Gabriele apparteneva al ramo vietrese, dedito all’arte del tessere e del commercio della seta. E come per la nascita, anche l’atto di morte, redatto in latino e citato dal Della Porta, è conservato nei registri parrocchiali di Dragonea, laddove si dice che il 20 di novembre dell’anno del Signore 1689 Gabriele Fasano moriva a Marina di Vietri (nell’abitazione di Giovanni Pizzicara, famiglia di maiolicari vietresi ricordati in atti notarili già nel XVI secolo), munito dei sacramenti, e il cui cadavere fu sepolto nella chiesa parrocchiale di San Pietro in Dragonea, nel pavimento della cappella di famiglia situata nel lato destro.

Tale cappella è citata già negli atti della visita pastorale del Vescovo Cesare Lippi di Mordano del 19 settembre 1607. Particolare importante appare l’incisa del parroco, che, accanto al nome Gabriele Fasano, annota, sempre in latino: “questo è colui che compose il libro del Tasso in lingua napoletana”. Non fu facile riportare in “lingua napoletana” il poema. Lo stesso Fasano, nell’introduzione al suo lavoro, scriveva: «…la lengua napoletana quanto è ddoce e ggraziosa a ssentirela parlare, tanto è ammara e sgraziata a ssaperela scrivere e lleggere.»

L’opera richiese due anni di intenso lavoro, come citava Giuseppe Valletta in una lettera ad Antonio Magliabechi del 28 luglio 1682, anno in cui cominciava a circolare in copie manoscritte. L’uscita in stampa, dopo sette anni dalle prime circolazioni in manoscritto, fu dettata non solo da scrupoli di correzioni da parte dell’autore, ma anche dalla volontà di sollecitare il giudizio di personalità di rilievo. Pesante fu lo sforzo finanziario per la stampa del volume, che alle strofe in napoletano affiancava quelle originali in italiano; in un memoriale del 20 maggio 1689 si vietavano per 15 anni nuove stampe regnicole e l’immissione nel Regno di libri provenienti da stampe extraregnicole.

Il successo fu tale che, in trent’anni, si ebbero ben tre edizioni, ben presto esaurite; ma il Fasano non poté assaporare la gloria: morì sette mesi dopo la pubblicazione del volume. L’originalità del Fasanos ta nel fatto che il suo lavoro non è “una trasposizione” ma «…una nuova opera letteraria, diversa dall’originale, – scriveva Aniello Fratta, nel 1983 – perché diversa era la cultura del Fasano rispetto a quella del grande sorrentino; una realtà testuale che esprimeva un gusto e una sensibilità, in cui potevano identificarsi tutti coloro che sentivano il dialetto come propria lingua, ma che, al tempo stesso, ne riconoscevano le potenzialità espressive e la dignità letteraria.»

(L’immagine di apertura, “Statua di Torquato Tasso a Sorrento”, è di Ivan Guidone)

 

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