Piccolo Principe, materia d’un fantastico sogno in ceramica

Piccolo Principe, materia d’un fantastico sogno in ceramica

Un pezzo che ben rappresenta la creatività dell'artista Laura Mazzella

Un pezzo che ben rappresenta la creatività dell’artista Laura Mazzella

“È Una follia abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato”. È una frase del Piccolo Principe, il racconto più famoso di Antoine de Saint-Exupéry. Un pensiero saggio e profondo al quale si è ispirata, nel suo ultimo lavoro, Laura Mazzella definita, da Stefano Causa, “…autrice delle più belle ceramiche che si vedono in giro”. Si tratta della mostra “Il Piccolo Principe, la materia di un sogno” in corso alla Galleria di Arti Decorative, in vicoletto Ischitella a Napoli, fino al 30 novembre. “È qui – scrive Stefano Cusa – che Maria Grazia Gargiulo e Alessandro Malgieri difendono, con coraggio e tra mille difficoltà un’idea folle come lo sono i progetti veramente importanti: quella di far conoscere, ad una città indifferente e omertosa un Passato prossimo che non è fatto solo di dipinti caravaggeschi e ottocenteschi. Ma soprattutto di creazioni di altissimo artigianato che, a metterli in fila in un ideale Museo delle cosiddette arti minori, formano il vero tessuto connettivo della nostra memoria. Chi abbia voglia di dare un’occhiata ai cataloghi pubblicati in questi anni dalla galleria capirà cosa si celi dietro una storia che nessuno sa più raccontare perché nessuno conosce. Ma si tratta della spina dorsale del ‘900 napoletano”.

Anche la ceramica può rappresentare una favola

Anche la ceramica può rappresentare una favola

Laura, figlia d’una famiglia di pittori, scultori e ceramisti, che da generazioni danno lustro all’arte partenopea, ha deciso di sognare. Lo ha fatto, nonostante le difficoltà che un artista, soprattutto se giovane, incontra in una città come Napoli, matrigna con i suoi figli più dotati ed estrosi. La sua chioma bionda e ondulata, che le dà un aspetto quasi leonino, è il primo segno di un carattere forte che non si lascia sopraffare dalle difficoltà. Infatti, il suo sogno si è trasformato in realtà. Quasi un miracolo: le parole del Piccolo principe, si sono materializzate, sono diventate sorprendenti ceramiche, che hanno il potere, quasi magico, di far sognare. Chi non ha mai visto lo sguardo meravigliato e incantato di un bambino che ammira una palla di vetro con la neve che cade, non potrà capire l’effetto che il risultato del sogno di Laura Mazzella ha prodotto e produce anche negli adulti che ammirano le sue opere.

Di seguito riportiamo uno stralcio della critica alla mostra scritta da Stefano Causa:

Laura è abile nel combinare l'estrosità delle invenzioni alle più varie combinazioni cromatiche

Laura è abile nel combinare l’estrosità delle invenzioni alle più varie combinazioni cromatiche

Laura Mazzella è autrice delle più belle ceramiche che si vedono in giro. Molti lo dicono a mezza voce e – a giudicare dall’autorevolezza di queste ultime proposte sul tema del Principe, raccolte nel solo luogo della città ormai deputato, di diritto, ad accoglierle – temo non sarà più così facile tener sottaciuta la cosa. Poi lo so: è un peccato sciupare l’effetto Mazzella provando a raccontare, a parole, la singolarità di questo universo portatile – si tratta perlopiù di piccoli pezzi – popolato di esseri precari che subiscono, con gioia o tenerezza, i colpi d’una perenne metamorfosi. Laura è abile nel combinare l’estrosità delle invenzioni alle più varie combinazioni cromatiche. AI punto che, dietro tutti quei colori, uno si perde a pensare a Chagall o al genovese Emanuele Luzzati (1921-2007) per partire dalla cima; e, giusto per rientrare tra le cose di casa nostra, soprattutto a Giuseppe Macedonio (1906-1986), che desidero introdurre subito come vero padre putativo di Laura.
Di base, anche qui, come nel grande ceramista e disegnatore napoletano, c’è il conforto di un innegabile mestiere. Lo spettatore è pungolato a seguire e, se non pigro a integrare con l’immaginazione il progetto, persino sfrontato, di smontaggio e rimontaggio dei materiali della Tradizione. Ma, ripeto, bisogna andare a vedere da vicino. Laura, nel pieno della maturità, ha una grossa responsabilità: non esito a scriverlo rotondamente – sebbene la tradizione della ceramica costituisca uno dei segreti meglio custoditi dell’accidentata modernità napoletana. Spero, poi, di non offendere nessuno; e men che mai di lederne l’autonomia: se mi permetto di ricordare che, con tutta quella massa di capelli a farle da scudo, la Mazzella viene da una famiglia che continua a fornire un contributo, tanto appartato quanto decisivo, alla cultura della città. A nessuno piace sentirsi dire: figlio d’arte… suona come una diminuzione, si resta male. Però è innegabile che questo abbia assodato in lei l’orgoglio di un’appartenenza e il senso di un tramando.
Le Petit Prince
Mi avevano detto che Laura aveva trascorso l’estate a lavorare intorno a quella favola appoggiandosi ai disegni, tutto sommato poco studiati, approntati dall’autore stesso, Antoine de Saint -Exupéry, a corredo del testo. Perciò, dietro un invito neanche troppo insistito ero andato a snidarla, scortato da una persona cara, nel guscio del suo atelier, tra un bar e una bottiglieria nei pressi di San Giovanni a Carbonara, uno dei cuori forti della città. Aveva lasciato in finto disordine una manciata di opere, finite o abbozzate, ispirate al Principe. C’erano vulcani spenti, con delle scritte in maiuscolo, scerpate dal libro, che incrostano le superfici.
Ne ricordo una: ANIMATO DAL SENTIMENTO DELL’URGENZA.
Una frase così, senza tempo, significa tante cose. A me pare che dica l’essenziale sulla reazione provata da Laura una volta chiuso il libro e congedato il principino – e forse qualcosa di più sul senso ultimo di un percorso e – la sparo grossa! – di vita. Quanto a me: senza aprire bocca, mi ero trovato a immaginare quale ceramica mi sarebbe piaciuto rubare e poi, a casa, interporre tra i libri o i dischi. Ma in realtà avrei voluto abbaiarle contro: “Laura,che ti frega del principe? Perché non hai continuato a procedere a briglie sciolte, improvvisando, senza un canovaccio di partenza… ?”. Il Piccolo Principe, ancora prima di battezzare una marca di biscotti al burro e un thè venduto in una drogheria di Pizzofalcone, è un libro (fintamente) per ragazzi pubblicato nel ’43 da uno con la passione per il volo. Pare ne abbiano vendute 134 milioni di copie in 220 lingue. Un’amica me lo regalò in napoletano (Princepe piccerillo). Ma tutti gli innamorati del mondo, o che si stiano ancora annusando, continuano a passarselo come un virus benigno o un amuleto, riempendolo di segni a margine… Certo l’arte del Principe sta nel ritmo di quelle frasi brevi, facilmente memorizzabili nate già per diventare dediche; ma non riposa nella qualità letteraria che – senza offesa – è un poco sospetta. Però chi ragionasse così si vestirebbe da cinico (cioè da stupido). Perché questo romanzetto è da rileggere oltre la sua letterarietà. È un regalo che si accetta senza discutere. È uno di quei libri, che per ragioni indipendenti dallo stile, rivestono una funzione salvifica. È un salva vite: per questo non invecchia mai. Per le stesse ragioni è difficile da rileggere; a meno che uno non sia in quella fase di sovvertimento dei sensi e provi ad adeguare le frasi del libro ad ogni gesto di chi si ami.
Ma la verità, a farla breve, è che non ero sicuro si potesse spremere nuovo succo da un testo visitato sino all’abuso e talmente letto da essere diventato illeggibile. Ebbene, il buon esito di questo incontro è sotto gli occhi di tutti. Mi limito a suggerire che, con qualche minima concessione illustrativa, questa sorta di nuovo commento di Laura Mazzella funzioni e lasci addirittura affiorare qualcosa, del Principe, rimasta tra le righe. Alla meglio si tornerà a casa avendo carpito qualcosa in più del libro e, insieme, avendo avuto l’agio di sbirciare nei diari di lavoro di una giovane donna che di mestiere fa ceramiche. Dimenticavo: c’è un modo più difficile per avvicinarsi a questi lavori della Mazzella. Bisogna prendere la curva più larga e impegnarsi un poco. Mane vale la pena.
Dentro la Storia dell’Arte
L’incontro tra Laura e il Piccolo Principe costituisce l’approdo temporaneo di un discorso strutturato sull’arte napoletana del secondo ‘900; o, per essere più esatti di quella porzione negletta che tocca le cosiddette arti decorative. Qualche esca ho procurato di fornirla al principio di questa noticina, facendo il nome di Macedonio; aggiungerei quello, persino più noto, di Diana Franco. Ora i lavori della Mazzella presuppongono e, in ogni caso, aggiornano alcuni stilemi di questi maestri. S’inseriscono, insomma, in una filiera autorevole. E i rinvii a Macedonio e ad altri suoi compagni di strada mi sono venuti in mente, come lo scatto d’una pila quando ho visto quei Pulcinella a cavallo: eredi legittimi delle decorazioni, antropomorfe e zoomorfe con cui Macedonio, nel corso degli anni ’60 e ’70, aveva provato a rendere meno smorti gli interni d’una Napoli che si andava costruendo – perlopiù senza gusto. Ma non sto offrendo che tracce. Occorrerebbe distinguere e specificare in quel saggio apposito sulla ceramica napoletana del secondo ‘900 che, a questo punto, s’invoca con urgenza. Voglio dire, insomma che, oltre l’affetto e la stima, la vicenda di Laura Mazzella va ricollocata dentro le regioni e le ragioni della storia dell’arte.

 

Share