I miti del solstizio d’inverno

I miti del solstizio d’inverno

Le radici pagane del Natale sono legate al solstizio d’inverno, giorni in cui gli adoratori di Mitra celebravano la nascita del “Sole invincibile”. Una festività, che in forme diverse, riunisce dall’antichità svariati popoli, distanti tra loro nello spazio, nel tempo e nella cultura. Sui significati del solstizio d’inverno, la scrittrice e studiosa Giuliana Poli ha scritto per Partenope l’articolo che segue.

Tramonto

Tramonto

Si è da poco concluso il periodo dei festeggiamenti per il Natale, divenuto la festa del consumismo, dei regali, delle tombole, del mangiare fino allo sfinimento. E, occasionalmente, della funzione religiosa di mezzanotte, vissuta in una calca di gente che ripete una ritualità, snaturata della sua vera essenza e, quindi, provata senza emozione, senza il “frastuono interiore di un’acqua di sorgente che sgorga dalla terra”.
Molti, ormai, ignorano, che in questi particolari giorni del ciclo annuale, si ripetono i veri miracoli divini, gli eventi cosmici che, nella tradizione primordiale, assumevano un alto valore spirituale e simbolico. Il termine tradizione, infatti, deriva da “tradere”, cioè “trasportare” da padre in figlio, i valori più profondi di una spiritualità e di un sapere che sono legati alla Natura.
Se ritornassimo tutti quanti a capire la Natura, vivremmo le nostre feste natalizie, in estremo stupore e armonia, poiché quando si è preda di emozioni d’amore, si vive in uno stato di grazia e di felicità. Purtroppo, da circa diciassette secoli, assistiamo alla scomposizione e atomizzazione dell’uomo, dalla Natura e dal Cosmo. Delle feste natalizie originarie, sono rimasti i simboli, come l’Avvento, la nascita del Bambino, il vischio, l’agrifoglio, l’albero di Natale, il presepe, Babbo Natale, il ceppo natalizio, la Befana, lo stare formalmente assieme, divertendosi e giocando. Tutte simbologie e consuetudini riprese dal mondo pagano e adattate a un nuovo modo d’intendere la religione, non più in forma naturale, ma estrapolata dal reale, costruita ad hoc, e quindi, ideologica. Importante è, perciò, capire, cosa rappresentasse nel passato, il solstizio d’inverno. Non dimentichiamo, infatti, che, dal punto di vista astronomico, esso è il giorno più corto dell’anno. Attorno al 21/22 dicembre, nel nostro emisfero (nell’altro emisfero, è estate), il sole sorge e tramonta, nella sua posizione più meridionale, e la sua traiettoria apparente, in cielo, è conseguentemente la più corta e la più bassa rispetto all’orizzonte e al parallelo locale. Il sole, quindi, culmina a mezzogiorno alla sua altezza minima (a quell’ora, cioè, è allo zenith del tropico del Capricorno) e manifesta la sua durata minima di luce (all’incirca, 8 ore e 50/55 minuti). A partire da quel momento, ricominciano ad allungarsi le giornate, poiché il sole illuminerà, i nostri giorni, per tempi sempre più lunghi, fino al 21 giugno, data del solstizio d’estate e giorno di massima luce del nostro astro.

Saturno (Palazzo Vecchio)

Saturno (Palazzo Vecchio)

Solstizio d’inverno, etimologicamente, deriva da solstitium (nel senso di brumale), dal latino “sol” (il sole) e “status” (stare). Veniva festeggiato, già nella preistoria: “presso le costruzioni megalitiche di Stonehenge, in Gran Bretagna; di Newgrange, Knowth e Dowth, in Irlanda; o attorno alle incisioni rupestri di Bohuslän, Nämforsen, Tanum o Tanumshede, Dasland e Østfold, in Svezia, e della Val Camonica, in Italia, già in epoca preistorica e proto-storica. Esso, inoltre, ispirò il “frammento 66” dell’opera di Eraclito di Efeso (560-480 a. C.) e fu allegorica mente cantato da Omero (Odissea 133, 137) e da Virgilio (VI libro dell’Eneide). Quell’evento, fu invariabilmente atteso e magnificato dall’insieme dei popoli-nazione europei: i gallo-celti lo denominavano “Alban Arthuan” (rinascita del dio Sole); i germani, “Yulè” (la ruota scandinavi, “Jul” (ruota solare); i finnici, “July” (tempesta di neve); i lapponi, “Juvla”; i russi “Karatciun” (il giorno più corto).
Esso fu ugualmente individuato o scelto da un certo numero di tradizioni religiose del mondo, per fare nascere o emanare i loro esseri divini o soprannaturali (Oro o Horus, in Egitto; Tammuz a Babilonia; Bacco o Dioniso, nonché Ercole, in Grecia; Adone o Adonis; in Siria; Mithra, in Iran; Freyr – il figlio supremo di Odino – in Scandinavia; Quetzacoatl e l’azteco Huitzilopochtli nel Messico pre-colombiano; Bacab nello Yucatan; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing- Shin in Cina; Yéshuà/Jésus o Gesù Bambino, in Palestina; ecc.)”.
Nella Roma imperiale, la festa solstiziale, era inserita nell’ambito dei Saturnalia, celebrati dal 17 al 23 dicembre, quando regnavano giochi d’azzardo, danze sfrenate, cibo esagerato, mentre i ruoli sociali s’invertivano: gli schiavi potevano burlarsi del padrone e farsi perfino servire a tavola. Si scambiavano doni, specialmente candele di cera e pupattole di terracotta, dette sigillaria. Veniva eletto, per burla, e deriso il principe della festa: Saturnalicius princeps.
Queste celebrazioni, dopo il IV secolo, vennero trasferite al Capodanno e, poi, al Carnevale. L’allegro caos di quel periodo dell’anno, rappresentò il ricordo di un tempo mitico, quello dell’età dell’oro, durante il quale avrebbe regnato Saturno, il re italico per eccellenza, che venne poi identificato dai Greci come il dio Kronos, il dio dell’origine.
Durante i Saturnalia, la statua di Saturno, che nel resto dell’anno era legata con una fascia di lana, nel suo tempio, appena sotto il Campidoglio, veniva sciolta a simboleggiare il ritorno, sia pure breve, dell’età dell’oro: del tempo, cioè, degli dèi che avrebbero creato la terra.
Quelle ritualità, all’origine, avvenivano nell’ultimo mese romano (da novembre a dicembre), il cui calendario era di dieci mesi, mentre i due mesi successivi venivano considerati come “passaggio nelle acque”, “creazione-rinnovamento” del Cosmo, che riproduceva quello mitico. Con la riforma di Numa, furono aggiunti gennaio e febbraio. Pertanto, quel periodo di rinnovamento fu situato prima del Solstizio invernale, quando il sole “muore” e “rinasce”. Per quel motivo, Saturno veniva slegato, proprio per rifondare il Cosmo.
Possiamo comprendere come i Saturnalia, rappresentarono il ripetersi del mitico Khaos Cosmico, che dette origine all’Universo, al principio di tutte le cose. Nell’ambito di quelle ritualità, il solstizio d’inverno, è la chiusura di un ciclo cosmico e l’inizio di uno nuovo. Un momento di passaggio delicatissimo, nel tempo in cui la luce è angusta e genera un momento di massima drammaticità e sofferenza della Natura, il senso di sopraffazione, di soffocamento e di morte, preludio del mistero più profondo: la nascita “del Sole”: il Natale, la festa del Mistero più profondo, della genesi primordiale, della Madre Terra Vergine, che, assimilando gli elementi cosmici, crea l’energia, la luce, che è, e continua ad essere, femmina.

 

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